Curiosando tra gli scaffali di mio padre mi ha colpito un libro sulla situazione femminile scritto da mia zia e mi sono messa a leggerlo. Mano mano che andavo avanti mi interessava sempre di più perché tra l’altro in casa mia questo tema della donna è sempre affrontato ed è oggetto di dibattito tra me e mio fratello che sostiene sempre che io come donna non possa fare alcune cose suscitando in me una grande ribellione. Ecco quello che ho imparato.
Negli ultimi decenni dell’800 in Europa nascono vari movimenti femministi che, sulla base del nuovo ruolo che le donne hanno assunto nella società grazie all’ingresso nel mondo del lavoro, ne sostengono diritti e, in particolare, richiedono la loro estensione al diritto di voto. E’ evidente che prima di questa fase la donna europea non aveva diritti pari agli uomini.
Per “emancipazione” si intende infatti la liberazione della donna dalla condizione inferiore e di sottomissione rispetto ai maschi della famiglia, sottomissione durata fino a pochi decenni fa, cioè fino a quando non abbiamo raggiunto legalmente la parità dei due sessi e il diritto al voto.
I primi movimenti si svilupparono negli Stati Uniti con la fondazione nel 1866 di due associazioni: una progressista e una moderata. Negli Stati Uniti il diritto al voto delle donne fu introdotto nel 1870. La vera emancipazione femminile in Italia, invece è iniziata dopo la II guerra mondiale per l’esattezza nel 1946, quando le donne parteciparono alle elezioni per l’assemblea Costituente e al Referendum tra Monarchia e Repubblica. Nel 1948 le donne italiane parteciparono così alle prime libere elezioni politiche. La diffusione dei mezzi d’informazione come la radio, i giornali, i libri e soprattutto la TV, orientarono opinione pubblica in favore dell’emancipazione femminile, sostenuta anche dalla notevole scolarizzazione delle donne.
Nei primi del ‘900, con il fenomeno dell’urbanizzazione, cioè il trasferimento dei contadini verso le città e la loro integrazione in un nuovo tipo di lavoro, si passò da una famiglia “allargata” (che comprendeva anche zii e nonni), ad una famiglia più ristretta dove i rapporti tra marito e moglie cambiarono e anche la donna iniziò a lavorare. La donna non ricopriva più il semplice ruolo di moglie e madre ma era una lavoratrice a tempo pieno e con il suo salario contribuiva in modo significante al reddito familiare. Per la donna lavorare non significava soltanto guadagnare indipendentemente dal marito, ma anche trascorrere molte ore fuori casa e ciò voleva dire avere contatti con persone e ambienti diversi, cominciare così ad acquistare la consapevolezza dei propri diritti.
A me personalmente dà noia che la donna sia vista solo come casalinga: penso che anche l’uomo possa spazzare, mettere a posto e cucinare e quindi questo cambiamento storico per me è stato fondamentale e importante e ritengo che non si debba tornare indietro. Sempre nella prima metà del ‘900 l’aumento della scolarizzazione delle donne permise loro di avere un pensiero autonomo da quello del marito e del padre. La donna cominciò così a rifiutare la sottomissione all’autorità del marito, legittimata non solo dalla tradizione ma anche dalle leggi del diritto di famiglia. Il diritto di famiglia è l’insieme di norme giuridiche che regolano il rapporto tra i componenti di una famiglia. Nonostante noi oggi viviamo in un mondo civile, certi aspetti non sono migliorati e tra questi il più grave è la condizione della donna di cui, secondo me, si parla poco. In Italia la condizione femminile è migliore che in altri Paesi, ma al telegiornale sento troppe volte che succedono violenze, abusi, maltrattamenti, sfruttamenti e discriminazioni nei confronti della donna.
Dopo aver analizzato diverse fonti sono giunta alla conclusione che in buona parte del mondo, i diritti delle donne vengono violati. Mentre nei Paesi del Nord del mondo le donne, pur ancora svantaggiate, hanno ottenuto gli stessi diritti dell’uomo in tutti i campi, nei Paesi poveri le donne lottano ancora per riuscire a vivere subendo meno soprusi possibili. L’Italia nonostante sia un paese avanzato ha ancora molto da migliorare su questo piano. Le donne studiano sempre di più, si laureano mediamente prima e con punteggi più alti. Tra i non ancora trentenni su 10 laureati 6 sono donne, ma esse hanno comunque maggiori difficoltà a trovare lavoro e vengono pagate di meno a parità di lavoro di prestazioni.
Io che sono una giovane donna che studia e non mi sono ancora affacciata al mondo del lavoro sono un po’ preoccupata. Mia nonna che si è laureata in medicina e poi specializzata in pediatria, si è sentita un po’ discriminata perché preferivano uomini nel suo ruolo e mi racconta le sue difficoltà. Io sono fiera di me e di quello che sono, ma ho paura che quando uscirò da questo spazio sicuro della scuola e andrò anch’io nella società mi possano far sentire una persona che vale meno di ciò che realmente sono. Penso che il percorso dei diritti delle donne sia ancora lungo e debba ancora essere compiuto del tutto.
A cura di Sabina con la collaborazione di Francesco
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