Era lì con le fauci spalancate che si dimenava come preso dal demonio.
E mi fissava durante i suoi ultimi lunghi istanti di vita.
Era una mattina di luglio ed ero da mio zio a S.Vincenzo.
Si stava molto bene: non faceva troppo caldo, ma si poteva benissimo stare a torso nudo.
Quella mattina non ero andato al mare perché avevo il corso di vela.
Al corso di vela, come sempre, armammo le barchette e uscimmo di porto.
L’acqua era calmissima e stranamente molto calda e con poche meduse e, quando tornammo a riva, facemmo tutti il bagno.
Quando tornai a casa, dopo una doccia ghiacciata all’aperto, mi stavo vestendo quando sentii il furgone di mio zio che arrivava.
Allora uscii in giardino e vidi mio zio che tornava trionfante con un fagottino gocciolante in mano.
E disse che ce l’aveva data il nostro amico Scarpa (pescatore).
Allora aprì il fagottino e c’era: un pesce prete, una sogliola e… E uno squaletto di mezzo metro in fin di vita!
Non ne avevo mai toccato uno e tanto meno visto uno così da vicino.
Quando gli toccai il naso gelatinoso lui tirò uno scossone.
Era grigio azzurrino con la pancia chiara, aveva una bocca gigantesca con centinaia di denti.
Ma nonostante i suoi denti aguzzi era un animale tenero e buono… Da mangiare.
Lo cuocemmo in umido insieme al pesce prete e la sogliola e con un pizzico di pomodoro diventò un pasto delizioso che finimmo con molto piacere.
Le sue lunghe pinne le mettemmo a seccare al sole difendendole dai gatti randagi.
Tengo ancora le pinne dello squalo come ricordo.
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