Tutti abbiamo il diritto e il dovere di ricordare. Ricordare per non negare; ricordare perché la storia insegna; ricordare perché uomini, donne e bambini senza colpa sono stati torturati e portati alla morte.
Da due anni nel nostro Paese si dedica il 27 gennaio alla memoria, al ricordo di una tragedia che sembra tanto lontana, ma che in realtà risale solo a poco più di mezzo secolo fa: la Shoah. Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche sfondano i cancelli di Auschwitz e liberarono i pochi prigionieri rimasti vivi. Per questo è stata scelta proprio questa data.
“Shoah” in ebraico significa “annientamento” e indica perfettamente i crimini commessi contro una parte dell’umanità: la comunità ebraica.
Spesso si usa la parola “olocausto” per indicare lo sterminio di questo popolo, ma “olocausto” significa sacrificio volontario e quindi non può essere un termine adatto per spiegare ciò che è stato.
E’ stato ufficialmente dichiarato che circa 6 milioni di ebrei sono stati uccisi, il 72% di quelli che abitavano in Europa. Questo è un dato drammatico che dimostra un vero e proprio genocidio.
Inoltre dobbiamo anche sottolineare che la foga nazista e fascista non si sfogò solo su gli ebrei, ma anche sugli zingari, i malati di mente, gli handicappati, i Testimoni ci Geova, gli omosessuali e gli oppositori politici. Insomma tutti quelli che mettevano in pericolo la prosperità del Reich e che inquinavano la razza ariana, la razza pura per eccellenza.
La Shoah punta il dito sulla mostruosità, sulle atrocità commesse, ma soprattutto giustificate in nome di quella razza che doveva vincere su tutti, che doveva conquistare il mondo. Quel mondo silenzioso e indifferente, impaurito e allo stesso tempo vigliacco, incapace di far valere i propri diritti e quelli di uomini sterminati solo per la colpa di essere nati ebrei. Quasi tutti tacquero, solo pochi si fecero sentire, ma la loro voce era troppo debole, il loro urlo di rabbia per quel mondo ingiusto era troppo stridulo così, quel silenzio rese possibile tutto ciò. Si cominciarono a costruire campi di concentramento, furono dettate le Leggi di Norimberga, le leggi razziali, milioni di ebrei furono deportati. Essi dovettero abbandonare la loro casa, il loro Paese, il loro cielo per andare a lavorare in condizioni disumane e per non tornare mai più. Per molti, troppi , questo fu un viaggio di sola andata. Un viaggio verso la morte, verso la “Soluzione Finale”, verso lo sterminio di massa grazie alle camere a gas e ai crematori.
Quei crematori che funzionavano 24 ore su 24, a ritmo ininterrotto, dove tutto veniva cancellato, perché tutto doveva rimanere sconosciuto, nel silenzio. Quel silenzio che noi dobbiamo rompere per far sì che tutti conoscano e che tutti riflettano, perché non possiamo rimanere indifferenti a questo. L’indifferenza porta ignoranza e l’ignoranza porta a questi grandi errori.
Dobbiamo essere in grado di ascoltare per capire. Ricordare che noi siamo fortunati, perché viviamo in una società che ci permette di essere liberi di pensare e di scegliere per la nostra vita.
Credo che il 27 gennaio debba essere proprio questo, un “input” per portarci alla riflessione, al ricordo, alla Memoria.
Possiamo ricordare in diversi modi, leggendo un libro o articoli di giornali, magari di ex deportati che raccontano la loro esperienza. Possiamo vedere documentari, visitare i luoghi dove si sono verificati questi massacri, ascoltare testimonianze o partecipare a manifestazioni in onore di quei 6 milioni di innocenti. Dobbiamo fare qualcosa che ci faccia pensare e riflettere per far si che la Shoah rimanga un ricordo fisso del passato e non diventi mai più presente.
Non possiamo permettere che le generazioni future vivano ancora una tragedia simile, ma dobbiamo tramandare per non cancellare e non rimanere nell’apatia.
Perché l’indifferenza è uno dei mali peggiori della nostra società. L’Europa di 60 anni fa ha scelto il silenzio, noi invece dobbiamo parlare. Dobbiamo ascoltare le testimonianze di quei sopravvissuti a cui l’antisemitismo ha distrutto l’anima. Per gli ex-deportati è difficile raccontare, è un brutto tuffo
nel passato, un ritorno al dolore che vorrebbero rimuovere per ricominciare a vivere veramente. Anche loro sentono il diritto ed il dovere di testimoniare. Devono cancellare i rimorsi perché non è una colpa essere sopravvissuti; raccontare è un dovere, un segno di rispetto verso la morte dei loro compagni, perché essa non sia stata inutile o solo un buco nero della storia. Perché non possiamo negare il passato e pretendere di costruire un futuro migliore.
Questa è anche la storia dell’Italia, dei fascisti che hanno combattuto a fianco dei nazisti e che non possono permettersi di nascondersi dietro la paura o di incolpare altri. L’Italia ha avviato i suoi cittadini nelle braccia della morte.
Tutti siamo chiamati a scegliere: io ho scelto di ricordare, e il 27 gennaio deve essere un giorno particolare, in cui questo ricordo, questo impegno si rinnova.
A cura di Sara Berni
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