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La “nostra” Grande Guerra

7 Apr 2019

Abbiamo studiato, ormai alcuni mesi fa, la Prima Guerra Mondiale e abbiamo visto diversi filmati su di essa. Ci è piaciuto molto anche un film, La Grande Guerra, di Mario Monicelli, girato nel 1959 con due attori molto famosi, Alberto Sordi e Vittorio Gassman. A scuola è venuto poi un attore, Gianluigi Tosto, che ha fatto una lezione-spettacolo basata su poesie e lettere di persone che parteciparono a quella spaventosa guerra. Alla fine ci siamo immedesimati in uomini e donne di quel tempo e, in classe, abbiamo scritto anche noi delle lettere, un po’ simili alle migliaia originali che ci restano e che raccontano tanti episodi di vita quotidiana. Eccole: una dal fronte a casa, e due di donne che scrivono al loro uomo, figlio o marito.

Un’immagine da “La Grande Guerra” di Mario Monicelli (1959).

LETTERA 1 – Chi vuol essere eroe

San Martino del Carso (GO) lì 18 gennaio 1916
Carissima Lucilla,
spero fortemente che tu possa leggere questa lettera. Purtroppo credo che sarà
l’ultima, perché mi è stata assegnata una missione nella quale lascerò la vita:
dovrò andare a tagliare con le pinze il filo spinato in modo di velocizzare il
passaggio dei soldati all’assalto.
Appena gli austriaci mi vedranno, mi trafiggeranno con le loro mitragliatrici,
cadrò a terra e dopo pochi istanti morirò.
Da una parte può sembrare strano, ma in realtà sono felice e orgoglioso di morire
per la Patria. Di fatti quando il colonnello Milani chiese chi avesse il coraggio
di andare a tagliare il filo spinato, io fui il primo e unico ad alzare la mano e a
dire:”Lo faccio io”. Non ne posso più di stare nelle trincee a patire il freddo e la
fame e a vedere ogni poco passare in barella qualche giovane, trafitto da un colpo
al cuore o alla testa. Non ho più voglia di partecipare a questa inutile guerra di
posizione che costerà la vita a milioni e milioni di persone. Oh Lucilla mia, tu
non puoi neanche immaginare tutto quello che sta succedendo e spero che né tu né
i nostri figli possiate mai vedere cose simili: valanghe di morti,
feriti, ragazzi senza né braccia né gambe e treni con dipinta in mezzo una grande croce rossa che portano centinaia di morti.

Gli ultimi desideri che ho sono che tu
saluti il circolo dei miei amici futuristi e che tu dica ai nostri due figli, Paolo e Francesco, che
il loro padre era un grand’uomo e che è morto per far vivere a loro due e a tutti gli
italiani un domani migliore. Purtroppo ti devo abbandonare adesso, mi hanno
chiamato per portare a termine la mia missione. Addio, Lucilla

Il tuo soldatino Tommaso

Soldati italiani in trincea: consegna della corrispondenza.

LETTERA 2 – Una madre siciliana

Salina, lì15 aprile 1916
Pierino, figghiu miu.
Ho appena finito di leggere la tua lettera. Non riuscivo a stare in piedi, credimi.
Tutto questo finirà, prima o poi. So cosa stai provando, provo lo stesso: ti senti solo, sei triste, non hai cchiù stima di te stesso, ti senti come se fossi una gazzella in mezzo ai leoni, un vuoto dentro che ti strascini dietro. E soprattutto privo di mangiare.
Ah…ti ricordi, quannu eri cà a casa con tua sorella Vincenzina, che mangiavate talmente tanto, che mi toccava rotolarvi per farvi scendere dalla tavola.
Tua sorella Vincenzina, da quannu manchi ha iniziato a dormire nel tuo letto… manchi così tanto. Non avere paura è da quannu eri picciriddu, c’avevi un coraggio da leone. E non ti fermi mai di fronte a nessuna difficoltà, ma hai un cuore troppo dolce e sentendo la nostra mancanza, questo ti rende meno forte e arrabbiato, ma fanne la tua forza. Per andare avanti. Noi ci
crediamo. Ti devo dare una cattiva notizia, io e Giordano ci siamo separati, ma è meglio così, era un amore amaru. Ma non ti voglio far carico dei miei problemi, già ne hai troppi. E poi non ti devi preoccupare, io e Vincenzina ce la caviamo. Però tu, torna tutto intero, sennò chi è che si occupa della vecchierella?
Ormai la casa non è cchiù la stessa. Sono distrutta, non riesci cchiù a sopportare tutto chisto, ma come dici tu: ”chianci chianci e poi t’accatti aranci”. E sapessi che àrburu d’aranci è fiorito in giardino: le zagare danno un odore che fa male al cuore.
Sai, è difficile pensare che sei laggiù e io invece qui a casa e non posso difenderti.
Ùora che fazzu? Vengo da tia e fo la guerra al posto tuo? Tanto per darti un aiuto? Tanto tengu pure u ciclo. A parte gli scherzi, ho saputo… che è iniziata la settima battaglia dell’Isonzo e spero con tutta me stessa che sei ancora vivo. Non riuscirei ad immaginarti sotterrato in un cimitero, no, non ancora. Scusami, ma non ce la faccio a continuare…non riesco cchiù a scrivere.
Un abbraccio,
tua madre Genoveffa

LETTERA 3 – Moglie e operaia a Milano

caro Lorenzo,
Ti scrivo per dirti che mi manchi. Da quando sei partito da Milano per la guerra ho sempre paura che la morte ti porti via da noi, dalla tua famiglia. Le giornate senza di te sono diventate fredde, buie, spente. Elisa ormai ha compiuto già da tre mesi 4 anni, mi chiede sempre di te e di quando tornerai.
Oggi a lavoro è successo un brutto incidente: a Ludovico, quel bambino di 13 anni di cui ti avevo parlato nella lettera precedente, che lavora con me alla fabbrica nel settore di fabbricazione di proiettili, per colpa della polvere da sparo gli è saltato un braccio ed ora è ricoverato all’ospedale in fin di vita.


Mentre tornavo a casa passando per la solita viuzza piena di siepi e alberi mi sono venuti i mente tutti i ricordi più belli, di quando mangiavamo tutti e tre insieme il gelato sulla solita panchina della piazzetta sotto casa nostra, e quando andavamo nei campi dorati di grano a fare i pic-nic, e mi è venuto da piangere al solo pensiero di quelle magnifiche giornate che ora però sono state distrutte da questa guerra.
Ora, mentre ti sto scrivendo questa lettera, fuori è freddo, siamo quasi ad ottobre, Elisa sta giocando con il suo pupazzo preferito, quello che gli hai regalato per i suoi due anni.
Le spese qua sono molte, lo stipendio che prendo a lavoro è basso, il prezzo del cibo aumenta, non so come fare. Mi manchi, ci manchi, vorremmo un tuo abbraccio, sentire la tua bellissima risata di quando raccontavi quelle barzellette a cui non rideva mai nessuno, ma che a te piacevano lo stesso, quando mi chiamavi ” Bella” a dispetto perché sapevi che a me non piaceva che mi chiamassero così.Tra poco andremo a dormire, spero di sognarti.

UN ABBRACCIO DAI TUOI TESORI
Isabella ed Elisa

NOME:Isabella COGNOME:Ricci
DATA DI NASCITA: 27711/1896
DATA DI MORTE:15/11/1964
ANNI:20 LAVORO:Fabbrica di armi da fuoco e proiettili
LUOGO DI NASCITA:Milano

(a cura di Tommaso, Asia, Laura)


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