Il termine ecomafia, definito dall’associazione LEGAMBIENTE, indica le attività criminali, di tipo mafioso, che causano danni all’ambiente. In particolare questa parte dell’organizzazione mafiosa si occupa del traffico di rifiuti, di animali esotici e del saccheggio di beni archeologici.
I primi reati furono commessi nel 1991, tuttavia il termine ecomafia comparve, per la prima volta, nel 1994 in un documento ufficiale pubblicato dall’associazione legambiente. Nel 1995 per combattere quest’ultime fu istituita la “Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti”. Secondo il rapporto Ecomafia 2015 di Legambiente, nel 2014 sono stati 29.293 i reati accertati, per un giro d’affari pari a 22 miliardi di euro. L’area maggiormente colpita è il Sud Italia, mentre nel Nord è presente un grande numero di cave abusive scavate per lo smaltimento di fanghi tossici.
I metodi illegali di smaltimento sono:
Abbandono di rifiuti nel territorio o nelle acque;
Accumulo di rifiuti in vecchie imbarcazioni, che vengono poi affondate in alto mare;
Combustione illegale dei rifiuti, che provoca emissioni di sostanze tossiche;
Miscelazione di rifiuti pericolosi con materiali ritenuti innocui da rivendere o riutilizzare, ad esempio terre e rocce per riempimenti, compost per uso agricolo;
Smaltimento di rifiuti pericolosi classificandoli fraudolentemente come non pericolosi, risparmiando sui costi;
Esportazione di rifiuti pericolosi nei paesi in via di sviluppo, in cui non esistono impianti di smaltimento.
La prima proposta legislativa per l’inserimento nel codice penale dei delitti contro l’ambiente recante la definizione giuridica di ecomafia risale al 1998.
La Legge n.68/2015 viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 28 maggio ed entra in vigore dal 13 giugno 2015.
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