Cari lettori e care lettrici, a scuola abbiamo conosciuto la storia di Iqbal Masih, un ragazzino pakistano di dodici anni diventato famoso in tutto il mondo per aver lottato coraggiosamente, al prezzo della propria vita, contro lo sfruttamento minorile.
Purtroppo, esistono posti nel mondo in cui i bambini, anziché andare a scuola, sono costretti a lavorare e Iqbal era uno di questi. Fu venduto dalla sua famiglia per pagare dei debiti e finì a lavorare in condizioni di schiavitù per un produttore clandestino di tappeti: trascorreva la sua vita intrecciando fili con le sue piccole manine e se si ribellava veniva picchiato e addirittura incatenato.
Era terrorizzato dalle punizioni che gli venivano inflitte dal suo padrone: veniva gettato in un pozzo senza aria, chiamato da lui “il buco”.
Un giorno, scappato di nascosto, partecipò a una manifestazione che parlava dei diritti; così decise di raccontare la propria storia con coraggio e il suo discorso fu pubblicato dai giornali locali.
Pensò così di non volere più tornare in fabbrica e, con l’aiuto di un avvocato e di un sindacalista, cominciò a raccontare la sua storia sui teleschermi di tutto il mondo, divenendo simbolo e portavoce del dramma dei bambini lavoratori.
“Non ho più paura di lui-dice riferendosi al suo padrone- è lui che ha paura di me, di noi, della nostra ribellione.”
Iqbal ricominciò a studiare per diventare un avvocato per difendere i diritti dei bambini, ma la storia della sua libertà fu breve: il 16 aprile del 1995, mentre correva in bicicletta, gli spararono mortalmente: aveva solo dodici anni e responsabili della sua morte sono sicuramente da ricercare tra la mafia dei tappeti.
Lo vogliamo ricordare con questo suo meraviglioso pensiero:
“Nessun bambino dovrebbe impugnare uno strumento di lavoro. Gli unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano sono penne e matite”.
A cura del gruppo dei ragazzi e ragazze di attività alternativa: JOAN, AHAD, MUBIN E GIULIA.
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