Storie e Racconti

Un cane per Natale

18 Mar 2022

Era una giornata come tutte le altre.
Mi avviai verso il lavoro ma da un momento all’altro scoppiò un temporale, perciò la pizzeria doveva chiudere.
Nel mio lavoro ero quella che portava le pizze con i pattini: i pattini sono il mio mezzo di trasporto preferito, ecco perché li ho scelti. Adoravo quel mestiere perché conoscevo sempre più particolari della mia città e anche perché adoravo andare sui pattini.
Mi misi i pattini, il casco, le ginocchiere, e le gomitiere: ero pronta per tornare a casa.
Ero una ragazza sbadata e distratta, come sempre non potevo non cadere: il temporale era così forte da farmi scivolare a terra… e mi feci molto male.
Ad un certo punto sentii un guaito. La ferita faceva così male che non riuscivo a guardare cosa ci fosse dietro quei cespugli.
Una zampetta si fece avanti da quell’ammasso di verde: pensai fosse un gatto (sinceramente non sono un’amante dei gatti). Nella zampetta c’era una macchia nera a forma di luna. Fissai quella zampetta per qualche secondo, non succedeva niente.
Così provai a togliere il pattino, per vedere cosa ci fosse nella mia caviglia. Il temporale aumentava sempre di più.
Sentii una voce chiamarmi: – Ragazza vieni! Vieni! Mettiti al riparo! – All’inizio non capivo, ma poi capii che qualcuno (non so chi) mi voleva aiutare.
Mi girai. Era una suora. Mi diceva di entrare in Chiesa.
La caviglia non mi dava neanche l’opportunità di mettere tutto il peso sull’altra gamba; perciò l’unica cosa che potevo fare era urlarle: – Sono ferita! –
Quattro o cinque suore uscirono: con lo sguardo preoccupato, un ombrello e una sedia a rotelle.
Le ringraziai moltissimo. Il problema era che il dolore rimaneva.
Appena entrate in Chiesa, una delle suore mi portò del disinfettante e della garza.
Ancora non mi ero tolta il pattino e purtroppo era arrivato il momento di farlo. L’ansia saliva sempre di più: non volevo affatto vedere la mia caviglia.
Suor Angela, così lessi dal cartellino.
Era arrivato il momento di togliere il pattino. Guardai il soffitto dall’inquietudine. Una volta tolto guardai la ferita sanguinare.
Meno male che c’era suor Angela che me la disinfettò e ci mise sopra la garza.
Stavo meglio. Ringraziai le suore che mi invitarono alla messa del giorno seguente. Sono sincera: alla Messa mi annoiavo sempre, ma non potevo rifiutare. Mi avevano aiutata in un momento di bisogno, come potevo dirle di no? Perciò accettai…
Mi voltai. Prima di andare via dalla Chiesa vidi un cesto con su scritto “ Beneficenza”, ci guardai dentro. Niente di niente. Nessuno aveva dato neanche un soldino.
Sentì bisbigliare le suore. Si dicevano cose del tipo: – Siamo in problemi finanziari gravissimi. Ci sono ancora sette bollette da pagare-. E ancora: – Ora cosa facciamo? Possiamo solo pregare e sperare. Ci servirebbe davvero un miracolo! –
Immaginavo che quei soldi servissero per i problemi finanziari. Volevo tanto donare qualcosa, ma purtroppo negli ultimi mesi non avevo guadagnato molto. Tutto ciò che avevo guadagnato mi serviva per mantenere la casa.
Uscii salutandole e ringraziandole. Il temporale continuava.
Quando chiusi il portone mi venne un dubbio: non ero sicura di non avere quei soldi perciò guardai nel portafoglio. Lo sapevo che ero distratta, ma non fino al punto di scordarmi che in questi mesi avevo guadagnato molto di più del mantenimento della casa…
Entra in Chiesa e urlai: – Ce li ho! – Le suore, spaventate, mi chiesero: – Cos’è che hai? – Risposi: – Ho i soldi per aiutarvi nei vostri problemi finanziari! –
Urlai nuovamente: – Ce li ho! –
Una delle suore si avvicinò a me e mise il suo braccio sulla mia spalla e mi disse: – Non devi, servono a te –
Senza esitare dissi: – All’inizio pensavo di non averli ma mi sbagliavo, ne ho abbastanza per tutti noi –
La suora tolse il braccio dalla mia spalla e si unì alle altre.
Poi si avvicinò suor Angela (modestamente la mia preferita) e mi disse: – Non ti obbligo a fare o a non fare quello che desideri, decidi tu –
Non parlai ma agii: Presi i soldi dal mio portafoglio e li misi nel cestino “Beneficenza”.
Le suore in coro dissero: – Grazie tante! –
Salutai e me ne andai.
Appena misi la mano sulla maniglia del portone suor Angela mi fermò.
Mi voltai.
Mi diede della garza, del disinfettante e un ombrello.
Suor Angela aggiunse: – In caso ti facessi di nuovo male e per non bagnarti -.
Ora, per davvero, uscii definitivamente dalla Chiesa. Fuori pioveva sempre.
Mentre mi avviai verso casa ripensai a tutta la mia giornata. Una cosa in sospeso mi tornò in mente: “Quella zampetta ci sarà ancora?”
Poi pensai: “Ma no, non rimarrà lì per sempre”. Quindi continuai a camminare.
Ma la tentazione mi assalì. Con l’ombrello, la garza e il disinfettante corsi verso i cespugli per vedere se ci fosse ancora la zampetta. Guardai ma non c’era niente. “Lo sapevo si sarà messo al riparo dopo tutto quel temporale” pensai. Allora mi avviai verso casa.
Quando mi misi sotto le coperte pensai “Che giornata pazza”, spensi la luce e mi addormentai.
Il giorno seguente, mi preparai per colazione un panino al prosciutto e uscii di casa.
Quel giorno però non pioveva, il sole illuminava la strada.
Andai lentamente per la strada perché era isolata. Mentre pattinavo lasciai delle bricioline di pane per terra, ovviamente per sbaglio.
Mi sentivo seguita: e quando mi sento seguita inizio ad andare veloce, in questo caso con i pattini. Mi sentivo seguita sempre di più, quindi accelerai ancora.
Ammetto che ciò che era dietro era molto veloce. Dopo aver fatto un bel po’ di strada sui pattini decisi di mollare. Non ce la facevo più.
Mi voltai e urlai: – Ma come ti permetti di seguire una persona? –
Non vedevo nessuno. Abbassai lo sguardo: ed era un cane.
Era adorabile, bianco come la neve (era un Labrador), minuscolo (direi appena nato). Un particolare attirò la mia attenzione: nella zampetta avanti a sinistra, c’era una macchia nera a forma di luna, identica a… il cagnolino del temporale, proprio quello che avevo scambiato per un gatto!
Sbalordita dissi: – Allora eri tu! –
I suoi occhi erano blu come le onde del mare, le sue orecchie erano più grandi del suo bellissimo musetto; fosse stato più piccolo sarebbe già caduto. Non era molto spettinato, forse tutta quella pioggia gli aveva appiattito il pelo. Solo una cosa non sapevo, se era abbandonato o no. L’unico modo per saperlo era guardare se aveva la medaglietta. A vista d’occhio sembrava proprio di no, niente di niente.
Non ne ero sicura, perciò guardai dà più vicino. Il nulla assoluto. Però, in fondo, lo sapevo che era abbandonato dalla puzza che percepivo venire proprio da quel cagnolino adorabile.
Mi incantai a guardare la macchia che portava sulla zampetta: era incredibile come una macchia potesse fare la differenza in un cane.
Comunque sia, non avevo intenzione di portarmelo dietro. Non lo facevo per me, ma più che altro per lui, per fargli vivere una vita con una persona che lo potesse gestire, che potesse pagare il suo cibo, una persona che pagava le bollette nel tempo richiesto, insomma non era al caso mio. Avevo già una vita incasinata.
Comunque sia la mia scelta l’avevo fatta.
Mentre lo guardavo fisso negli occhi capivo quanto fosse importante avere una famiglia, o meglio, nel suo caso ero piuttosto difficile perché, invece di averla, lui doveva trovarla.
A interrompere quella bella atmosfera non era stata una musica sdolcinata sottofondo ma il mio telefono. Nel mentre la strada si era già riempita. Quando risposi al telefono mi spaventai: – Pronto? Dove sei finita? I clienti non aspettano te! –
Risposi: – Scusi capo, arrivo subito! –
Ma il capo mi rispose: – No, ormai non venire più, ma la prossima volta che fai tardi ti licenzio! –
Visto che non dovevo andare a lavoro, mi avviai verso casa. Dopo due passi mi fermai e tornai indietro.
Non vidi più il cagnolino. Volevo lasciargli il mio panino. Forse si sarà nascosto; comunque sia glielo lasciai lo stesso. Mentre camminavo piano piano, girai appena lo sguardo: lo vidi sbucare solo per mangiare il cibo.
Quando tornai a casa trovai il frigorifero vuoto. Usai il tempo libero per andare a fare delle commissioni al supermercato, ma comprai solamente schifezze per una bella serata film.
Quando uscii dal supermercato si era già fatto buio (si impiega sempre molto tempo).
Una volta tornata a casa accesi subito la televisione e misi “Harry Potter e i Doni della Morte parte 2”. Pensai che era strano che la mia titolare non mi facesse svolgere il turno di lavoro. Di sicuro aveva qualcosa in mente, comunque era meglio godersi la serata, perché, forse era l’unica che avrei fatto in quel periodo.
La mattina seguente mi svegliai dal nulla, guardai la sveglia: era tardissimo!
Mi preparai velocemente due panini, meno male che avevo guardato il film vestita con la divisa da lavoro; mi misi i pattini, il casco e i guanti.
Non avevo il tempo di mettermi le ginocchiere e le gomitiere.
Andai più veloce che potevo. In lontananza vidi il cagnolino. Il secondo panino l’avevo fatto per lui.
Quando passai davanti a lui mi fermai, gli diedi il panino e lo accarezzai.
Volevo tanto rimanere con lui, ma era troppo tardi.
Io adoravo tutti i miei colleghi di lavoro, perché sui pattini sapevano fare cose che per me erano impossibili.
Quando arrivai a lavoro vidi una ragazza che teneva in equilibrio sulla testa un vassoio con sopra alcune bibite. Rimasi a bocca aperta. Continuavo a fissarla e nel mentre caddi su una ragazza con delle bibite. Lei si bagnò, si alzò e mi guardò male. Io rimasi seduta per terra, sospirando. Ad un certo punto una cascata di spremuta mi bagnò tutta. Quei due o tre minuti di inferno: mi sembravano ore.
Una volta finita la spremuta d’arancia alzai la testa, era stato un ragazzo. Mi alzai velocemente e gli dissi: – Perché mai l’hai fatto? –
Comunque sia ormai io e il pavimento eravamo diventati “migliori amici”. Appena mi avvicinai a lui con lo sguardo imbronciato lui indicò dietro di me ma continuavo a chiedere spiegazioni. – Ferma! – disse la mia titolare.
Era lei che indicava il ragazzo. – Ferma! – Continuava a dirmi la mia titolare, Gli risposi:- Ferma? Come puoi dirmi ferma dopo quello che mi ha fatto? – Lei mi disse: – Gliel’ho detto io, così almeno impari a svegliarti la mattina presto: oppure non sai leggere l’orologio? – Ero consapevole che avevo fatto tardi ma rovesciarmi tre o quattro brocche di spremuta d’arancia addosso era esagerato, troppo esagerato.
La mia titolare si voltò. Dopo tre passi si fermò e si voltò di nuovo. E mi disse: – Su, muoviti! Vieni! Non farmi perdere altro tempo! – Mi avviai a testa bassa come segno di rispetto.
Arrivate nel suo ufficio lei mi diede un foglio con scritto “00:30”. Le chiesi: – Cosa vuol dire? -Lei mi rispose: – Vuol dire che io esco da quella porta darò la giornata libera a tutti e tu gestirai il locale fino a mezzanotte, ciò significa che tra pulire ogni cosa si faranno le 01:30; ma è una punizione troppo semplice perciò metterò il menu gratis cosi che tu possa lavorare il triplo e si saranno già fatte le 03:30 – Io le dissi: – Ma perché? È una cosa ingiusta! –
Uscii dall’ufficio arrabbiata. Subito dopo uscì la titolare e urlò: – Via! Tutti via! Giornata libera! Ovviamente i miei camerieri, a voi clienti ci penserà Emma -.
Quando tutti i miei colleghi erano andati via la titolare urlò: – utti i clienti mi ascoltino! Oggi il locale chiuderà a mezzanotte e in più tutto il menu è gratis! –
Purtroppo la notizia si diffuse e vennero sempre più clienti. Finalmente era arrivata la mezzanotte. Cacciai tutti i clienti e alcuni di loro dissero: -Ma io devo finire di mangiare! Ma ancora non mi è arrivato il dolce – e – Scusi, sopra le mie crocchette di pollo manca il Ketchup – o ancora – Scusi, mi può mettere il cibo in un sacchetto così me lo porto dietro? –
L’unica cosa che facevo era dire “No”.
Pulii tutto da cima a fondo. Ormai si erano già fatte le tre di notte, almeno credevo, quando guardai l’orologio erano le tre e mezzo della notte. Prima di uscire presi alcune fragole. Quella volta però mi misi le scarpe, non ero in vena di mettermi di nuovo i pattini, dopo tutto quel lavoro mi facevano male i piedi. Quando chiusi il portone mi sentivo libera. La strada era isolata, a parte dei ragazzini di circa tredici o quattordici anni che insieme ai loro genitori cantavano le canzoni natalizie. Li osservai attentamente e capii che la vita è bella se la passi con chi ti vuole bene. Mentre camminavo cadde una fragola dal mio piccolo vassoio e il cibo caduto attirò l’attenzione del solito cagnolino. Ne feci cadere altre e lui le mangiò una per volta. Ad un certo punto iniziò a nevicare e corsi a casa mia. Quando chiusi il portone sentii guaire. Accanto a me c’era una coperta: la presi, uscii, presi in braccio il cagnolino e lo avvolsi nella coperta. Tremava tantissimo.
Appena arrivata gli feci una doccia. Quando lo asciugai usai il phon, sembrava una star.
Appena finita la sua doccia, misi una stufa vicino alla finestra rivolta verso di noi. Tenevo il cagnolino in braccio e insieme osservavamo la città, era addobbata in modo natalizio. Corsi subito a vedere il calendario: ormai era già mezzanotte, era Natale! Tirai giù: albero, palline, ghirlande.
Dopo un po’ di fatica avevamo finito. Con la zampetta il cagnolino mi graffiava, abbassai lo sguardo: teneva in bocca la stella. Lo alzai e insieme la mettemmo. Andai a dormire e pensai: – Che nome posso dargli? MACCHIA! –
Il giorno dopo andai dal veterinario per sapere se era sano. Era tutto ok. Io dissi al veterinario: – Ormai sono giorni che lo vedo per strada e nessuno lo reclama! –
Il veterinario mi rispose: – Ma tu vorresti che facesse parte della tua vita? –
Senza esitare dissi: – Sì! Ovviamente sì – Lui mi rispose: – Allora credo proprio che sia ufficialmente tuo –
Lo sapevo che era rischioso, ma volevo provarci.
Quando tornai pensai che era il Natale più bello della mia vita.
Come si dice nei film “e vissero tutti felici e contenti”…

A cura di Emma L.


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