Seconda tappa: il giardino di Boboli
Questo articolo racconta la seconda (e ultima) tappa del progetto “Il Mitologico mondo degli dei” al quale hanno aderito le nostre classi 5A e 5B. (la prima tappa ci aveva portato al museo del Bargello come ci racconta la VA)
Il 9 marzo 2017 siamo andati al giardino di Boboli
Arrivati a palazzo Pitti ci siamo fermati a fare merenda mentre il nostro maestro è andato con la nostra guida Lavinia (che avevamo già incontrato al Bargello) per prendere I biglietti.
Lavinia ci ha detto che in passato questo palazzo è stato abitato dai MEDICI poi dai LORENA e alla fine dai SAVOIA la famiglia reale italiana: per questo motivo Palazzo Pitti viene chiamato anche la reggia di Firenze ; poi siamo entrati nel cortile del palazzo. Lì abbiamo visto una statua che rappresentava ERCOLE e ci ha raccontato la sua storia:
Giove (Zeus) fece un figlio che chiamò Ercole. Gelosa Giunone (Era) mandò 2 serpenti a uccidere il bambino appena nato. Ercole aveva però una forza sovrumana ereditata dal padre, così, quando i serpenti arrivarono alla culla esso li strangolò. ERCOLE è anche rappresentato con la pelle di leone perché:
Il leone di Nemea era un animale che aveva la pelle dura quanto il titanio: quando le spade toccavano la sua pelle si rompevano. Ma Ercole trovò la soluzione migliore: lo strangolò e lo scuoiò mettendosi la pelle del leone a mo’ di armatura. Accanto c’era un’altra statua con lo stesso protagonista cioè ERCOLE insieme ad ANTEO. Questa è la storia:
In quel periodo, sulla terra c’era un gigante (ANTEO), figlio della madre terra che tormentava l’umanità perché uccideva tutti gli uomini che osavano sfidarlo. Anche lui aveva un potere: ogni volta che toccava la terra si rigenerava e si rafforzava.
Lo scontro con Ercole era inevitabile. Non si sa ancora chi sfidò l’altro, ma comunque dopo una lunga lotta Ercole riuscì a vincere la sfida perché sapeva che Anteo ogni volta che toccava terra riprendeva le energie; così lo tenne sollevato in aria fino a fargli perdere ogni forza e Anteo morì atrocemente.
Dopo aver visto le due statue ci siamo diretti nel vero giardino, davanti a noi si è aperta una splendida vista su Firenze e un po’ più avanti abbiamo visto un teatro in stile romano (ma costruito molto dopo) visibile anche dalle terrazze del palazzo, così i reali di turno potevano godere gli spettacoli direttamente dalla terrazza.
Poco più avanti ci attendeva Cupido, nella statua con la madre Venere:
Venere (Afrodite) la dea della bellezza e dell’amore ebbe un figlio di nome Cupido (Amore). Un giorno nell’Olimpo, Peleo e Teti si sposarono e invitarono tutti gli dei tranne Eris la dea della discordia, che, quando lo venne a sapere si infuriò e lanciò un pomo d’oro con su scritto: “Alla più bella”. Venere, Giunone e Minerva litigarono perché ognuna riteneva che quel ‘premio’ spettasse a lei. Per risolvere la questione fecero scegliere a un umano di nome Paride. Ciascuna delle dee cercò di corrompere il ragazzo: Giunone gli promise che se avesse scelto lei sarebbe diventato il più famoso e il più forte tra gli umani. Minerva li promise che sarebbe diventato l’uomo più saggio al mondo e Venere, gli promise l’amore della ragazza più bella del mondo cioè Elena. Paride senza esitazioni scelse Venere. Elena però era già sposata con il re di Sparta, che, quando lo venne a sapere scatenò una guerra contro Troia. Ed ecco spiegata la guerra di Troia. Venere e Cupido sono protagonisti anche di un’altra storia che Lavinia ci ha narrato:
Venere trovò una ragazza più bella di lei (PSICHE), così chiese al figlio Cupido (Amore) di farla innamorare dell’uomo più brutto al mondo. Cupido puntò una delle sue frecce verso Psiche e con l’altra, per sbaglio, colpì se stesso. I due si innamorarono ma Psiche era un’umana e quindi non poteva vedere la faccia di Cupido. Venere disse che i due sarebbero potuti stare insieme ma alla condizione che si incontrassero solo di notte oppure bendati. I due innamorati accettarono la condizione ma Psiche curiosa del viso di Cupido accese un lume e lo vide. Venere era furiosa, ma Psiche implorò il suo perdono. La dea propose allora a Psiche delle prove difficilissime da compiere, convinta che ella non le avrebbe mai superate. Ma Psiche le superò, allora Venere, per farli stare insieme, la trasformò in una dea.
Proseguendo, ai piedi di una piccola collina, abbiamo visto una grande statua di Pegaso:
Pegaso è il più famoso tra i cavalli alati. Secondo il mito nacque dal corpo di Medusa quando Perseo le tagliò la testa. È un animale selvaggio e libero utilizzato per Primo da Zeus per trasportare le folgori fino all’Olimpo. Grazie alle briglie d’oro avute in dono da Minerva (Atena), venne successivamente ‘addomesticato’ da Bellerofonte, che se ne servì come cavalcata per uccidere la Chimera. Dopo questa vittoria Bellerofonte si ‘montò un po’ la testa’ e diresse Pegaso verso l’Olimpo pensando di poter diventare un dio. Zeus non fu affatto felice della presunzione del ragazzo e decise di punirlo. Inviò un calabrone che punse Pegaso facendolo imbizzarrire. Bellerofonte cadde e rovinò al suolo rimanendo per sempre zoppo. Il cavallo alato tornò tra gli dei. Continuando a camminare, prima di imboccare la salita del viale dei cipressi, ci siamo fermati davanti ad una statua:
Esculapio fu una delle divinità greche, figlio di Apollo e dio della medicina. Lui imparò tutto quello che sapeva sulla medicina grazie a Chirone un centauro della mitologia greca. Secondo il mito, Esculapio ricevette dalla dea Atena due boccette che contenevano il sangue di Medusa: la prima boccetta conteneva il sangue della parte destra che poteva curare e resuscitare le persone, invece la seconda conteneva il sangue della parte sinistra che era molto velenoso da poter uccidere le persone. Visto che Esculapio poteva resuscitare i morti, Ade e Zeus erano molto arrabbiati perché il suo potere di ridare la vita avrebbe ‘svuotato’ l’oltretomba, regno di Ade Dio dei morti. Così Zeus avrebbe perso il suo trono nell’Olimpo e allora decise di fulminarlo e morì. Di fronte ad Esculapio, si trova la statua di Andromeda. Lavinia ci ha spiegato la sua storia:
Cassiopea, la regina di Etiopia sosteneva che lei e la sua bellissima figlia Andromeda fossero più belle delle nereidi (le sirene di Nettuno). Allora quando Nettuno scoprì quello che Cassiopea aveva detto si infuriò, e lanciò temporali, fulmini, tsunami e soprattutto mise un mostro marino mangiatore di uomini nelle coste dell’Etiopia. Il re preoccupato consultò l’oracolo che diceva di dare sua figlia in pasto al mostro marino. Il padre di Andromeda era disperato ma, per il bene del suo popolo, accettò. Una volta legata a uno scoglio e pronta per essere divorata, Andromeda ebbe un colpo di fortuna perché passò da lì Perseo su Pegaso (di ritorno dalla vittoria contro Medusa). Perseo quando vide Andromeda la prese subito e la portò da suo padre, quando Perseo seppe del mostro che minacciava il popolo, prese la testa di Medusa e la portò dal mostro. Una volta lì il mostro venne pietrificato dagli occhi ancora aperti di Medusa. Il re per riconoscenza diede a Perseo la mano di Andromeda.
Soddisfatti da questo lieto fine siamo tornati nella realtà e siamo scesi fino all’“isola”: al centro si trova una statua gigante che rappresenta OCEANO, il fratello del padre di Zeus. È rappresentato con una conchiglia nella mano e un delfino ai suoi piedi. Sui cancelli, in alto, svettavano due capricorni
simbolo di Cosimo primo dei Medici. Usciti dall’ “isola” abbiamo finalmente imboccato il viale dei cipressi dove abbiamo visto molte statue ma noi ci siamo soffermati su una in particolare, quella di APOLLO:
APOLLO è un Dio, figlio di Giove e Latona, è il Dio della musica, della poesia e del sole Apollo prendeva in giro Cupido per le sue frecce perché secondo lui non erano degne di un Dio. Cupido per vendicarsi lanciò una freccia d’oro ad Apollo e una di piombo a Daphne, una ragazza umana, la freccia d’oro avrebbe fatto innamorare Apollo e quella di piombo avrebbe lanciato odio da parte di daphne verso Apollo. Apollo, innamorato perso, la seguiva senza mai fermarsi ma Daphne fuggiva. Stanca della situazione, si fermò e chiese aiuto a tutti gli dei che immediatamente la trasformarono in una pianta di alloro. Apollo che stava per prenderla, si accorse poi che lei era sparita e al suo posto c’era una pianta d’alloro, così ne staccò un ramo e ne fece una corona d’alloro che pose sul proprio capo e da allora divenne uno dei suoi attributi. Lavinia ci ha raccontato un’altra storia con lo stesso protagonista:
Minerva, stufa di un flauto, lo gettò e gli lanciò una maledizione: chiunque l’avesse suonato avrebbe avuto una fine certa. Marzia, un giovane satiro lo raccolse e senza difficoltà lo suonò. Tutti quelli che lo sentivano si congratulavano con lui e gli dicevano che era perfino più bravo di Apollo, allora Marzia ci credette e sfidò Apollo in una gara di musica. Apollo suonava la lira e Marzia il flauto, i giudici erano le muse, molto amiche di Apollo. L’esito dell’incontro fu certo, vinse Apollo che scelse la terribile punizione per Marzia: fu spellato vivo. Marzia morì di dolore e come diceva la maledizione fece una fine certa.
Un po’ scioccati dalle atrocità appena ascoltate, ci siamo diretti verso un altro laghetto con al centro una statua di Nettuno:
Nettuno fece un figlio che era un ciclope (con un occhio solo). Lo chiamò Polifemo. Ulisse, un eroe greco, un giorno, con il suo equipaggio, approdò sull’isola di Polifemo, diventato pastore. Quando entrarono nella grotta del ciclope mangiarono e bevvero. Quando Polifemo rincasò con il gregge non fu affatto contento della presenza degli umani, così iniziò a mangiarli uno a uno, finché non bevve troppo vino offerto da Ulisse e si addormentò. Ulisse e i suoi, volevano scappare così lavorarono un palo di legno e lo resero appuntito per poi infilarlo nell’occhio di Polifemo; Ulisse lo accecò, ma egli non morì e si mise a tastare tutte le pecore pensando che gli uomini le volessero cavalcare per scappare. Ma Ulisse e i suoi uomini si erano legati sotto al ventre delle pecore e così riuscirono a scappare e a salvarsi. Nettuno si arrabbiò con Ulisse e per il resto del suo viaggio verso Itaca lo tormentò con tempeste e maremoti.
Qui finisce la nostra passeggiata nel giardino di Boboli in compagnia degli dei dell’Olimpo.
Questa gita ci è piaciuta moltissimo, ci ha fatto piacere rivedere Lavinia che ringraziamo per le storie meravigliose che ci ha raccontato e ci dispiace che sia stata l’ultima “puntata” del “mitologico mondo degli dei”.
I bambini e le bambine delle classi VA e VB
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